Banksy, l’invisibile dell’arte moderna

Sei lettere grigie gonfiabili come palloncini, per dare una mano ad altri writer come lui, ma meno famosi. Sei lettere come il suo nome. BANKSY. E’ l’ultima opera che l’artista inglese ha lasciato sul muro di un edificio sulla Long Island Expressway, lungo la strada dell’aeroporto J.F. Kennedy, precisamente tra Borden Avenue e la 35ª strada. L’artista ha pubblicato due foto dell’opera sul suo sito e sotto ha scritto: “E questo è tutto. Grazie per la vostra pazienza. È stato divertente. Salvate 5 Pointz. Ciao”.

L’installazione è l’ultima del progetto “Better Out Than In”, per il quale Banksy aveva promesso di fare un graffito al giorno e organizzare altre iniziative per tutto il mese di ottobre a New York. Con questa installazione, il writer ha quindi salutato la Grande Mela. 5 Pointz è un ex complesso industriale a Long Island City, a poca distanza dal luogo dell’ultima opera di Banksy, prende il nome dai 5 distretti amministrativi della città e dal 1993 è uno dei luoghi dove artisti di tutto il mondo possono disegnare graffiti legalmente. Nel 2011 il proprietario della struttura ha annunciato però di volerla chiudere entro la fine di quest’anno, per far posto a due grattacieli di lusso scatenando una grande opposizione degli artisti della zona che stanno cercando di ottenere dal governo di New York il riconoscimento di area di interesse artistico e culturale.
Un writer che vomita fiori. “E’ stato divertente”, ha detto ripartendo. Ma è stato soprattutto un mese intenso. La fama di Banksy lo aveva preceduto: aveva le sembianze di un’artista con una bomboletta che rigurgitava fiori. Con quest’opera, aveva dato un’anteprima di “Better Out than In”, “Meglio fuori che dentro”.

 

 

Scritte minimali o disegni più elaborati disseminati per la città di New York, uno al giorno per trentuno giorni. Dopo aver realizzato l’opera scattava una foto e la postava sul suo sito accompagnandola da un audio o un video. “Banksy sostiene che ‘fuori’ è dove dovrebbe vivere l’arte”, ha riferito la voce narrante sul sito dell’artista a conclusione del progetto: “Sono gli ultimi mille anni di storia dell’arte ad essere un breve episodio privo di significato, quando l’arte è entrata al servizio di chiese e istituzioni. Il mondo in cui viviamo è fatto, almeno visivamente, di segnali stradali, tabelloni pubblicitari. Non vogliamo vivere in un mondo fatto di arte e non solo decorato dall’arte?”.

 

 

Quella prima opera vandalizzata. “Graffite is a crime”: una bomboletta spray e un divieto rosso. Un bambino che sale sulle spalle di un altro per afferrare quella bomboletta. E’ la prima opera del graffitaro di Bristol e subito “violata” da artisti di strada. In segno di protesta è stata coperta con pennellate di bianco. Poi è stata la volta di un tavolino e tante “finte/vere” riproduzioni di celebri opere del misterioso artista britannico, che hanno animato Central Park per un giorno.

 

 

I pochi fortunati e distratti passanti newyorkesi hanno acquistato per pochi dollari alcune delle tante opere del writer inglese le cui sembianze nessuno conosce. Non tutti i cittadini che passeggiavano per il parco si sono accorti che quell’uomo seduto davanti a quel banchetto di legno era forse il noto artista inglese a New York per un mese. Le hanno pagate 60 dollari ma ne valevano migliaia. Il guadagno di quel giorno fu di 420 dollari per opere di un valore stimato intorno ai 200mila.
Scritte colorate, un cane e un distributore dell’acqua, un camion che diventa giardino, il logo “I love NY” in cui love è un cuore incerottato – scaricabile dal suo sito e applicabile su una maglietta – citazioni filosofiche, talpe che spuntano dal terreno. Grattacieli con fiori, donne musulmane tra soldati, la scritta “Ghetto 4 life” al Bronx ma anche una pausa quando il 23 ottobre ha cancellato l’arte per l’attività di polizia – “Today’s art has been cancelled due to police activity” – un uomo in smoking che, mani in tasca, attende appoggiato ad una saracinesca con un mazzo di fiori in mano.

 

 

 

Fino ad arrivare a “Sirens of the Lambs”, un’installazione in movimento: un camion che trasporta “al macello” gli animali della fattoria ma in realtà si tratta di peluches piangenti.

 

 

C’è stato anche un momento di impegno sociale: “The banality of the banality of evil” è un quadretto che raffigura una scena pastorale e che l’artista ha ridipinto inserendovi un soldato nazista di spalle seduto su una panchina che osserva lo scenario idilliaco. Banksy aveva acquistato per 50 dollari il piccolo dipinto da Housing Works, un negozio dell’usato e di beneficienza, che ha poi messo all’asta online l’opera del writer: i proventi erano destinati a senzatetto e malati di Aids.

 

 

L’ultima opera quasi rubata. Dopo circa un’ora da quando l’ultima l’installazione era stata sistemata sul muro dell’edificio del Queens, le lettere gonfiabili della parola “BANKSY” sono state tolte: i due ragazzi che hanno cercato di portarsele via sono stati prima attaccati da un fan di Banksy, e poi sono stati arrestati dalla polizia e portati via. “E’ stato divertente”, ma per loro un po’ meno.

 

Elena Russo, da Repubblica.it

 

http://www.banksy.co.uk