L’anima di un luogo e la sua immagine ambientale

Il senso di abbandono, la ridondanza, il degrado la confusione visiva ci accompagnano nel percorso delle nostre strade cittadine. L’approccio arbitrario del privato alla definizione dello spazio pubblico, velletario da una parte o modesto e mediocre dall’altra, la mancanza di regole o la loro scarsa applicabilità, la mancanza di un progetto e delle relative risorse finanziarie da parte del governo cittadino hanno generato nel tempo la perdita di controllo dell’immagine della città.

Sia pure nella difficoltà di definire una immagine generale anche nella sua dimensione parziale e mutevole, nessuno si occupa più di almeno gestire, questo continuo processo di cambiamento. Si pensa solo in termini di interventi singoli, straordinari o in emergenza e spesso fuori dal contesto di appartenenza, da una logica comune e di rispetto del luogo. E quando esiste un progetto ecco che l’approccio è spesso inefficace: progetti di spazi e non progetti di luoghi, interventi chiusi demandati solo all’ispirazione del progettista di turno, più o meno famoso o capace.
Le responsabilità sono di tutti: gli amministratori, confusi dalla ricerca continua del consenso, ostaggi di idee e progetti uniformi o di facile omologazione; il management pubblico, ingabbiato dalle norme e dalle responsabilità da una parte e dall’altra costretto a sottostare all’uniformità del pensiero corrente; i tecnici e gli operai addetti alla gestione del patrimonio pubblico che hanno perso il valore fondamentale e strategico del loro lavoro, la spinta ideale che dovrebbe animare chi si trova ad avere la responsabilità di un patrimonio collettivo così importante; i soggetti economici, commercianti, artigiani, imprese, interessati solo alla difesa dei propri diritti e con poca vocazione ai doveri, sempre in competizione tra di loro, mai uniti da una strategia comune di più ampio respiro; i singoli cittadini da una parte silenziosi e rassegnati e dall’altra arroganti alla ricerca continua di risposte personali e di parte, tutti o la maggior parte, disinteressati ad un progetto comune di città perché compito sempre e comunque degli “altri”.
Ed infine i progettisti e gli architetti o almeno molti di loro, ancorati all’idea di dover progettare uno spazio e non un luogo (Edward S. Casey, la necessaria distinzione tra “luogo” e “spazio”), che realizzano da una parte il progetto come elaborazione di una idea e di una conoscenza personale e dall’altra il progetto è invece esercizio di uno stile uniforme che porta inevitabilmente all’omologazione dei paesaggi. Così si dimentica l’insegnamento di illustri predecessori come Frank Lloyd Wright, Ove Arup e James Stirling dove uno dei cardini della loro ricerca progettuale è il ritrovamento, cioè riportare alla luce aspetti rimossi, rielaborandoli e rendendoli attuali.
In mezzo a questo scenario e se vogliamo essere benevoli, per colpa di protagonisti inconsapevoli, c’è la “comunità” o il “luogo”, che non appartiene più a nessuno.

Eppure, citando Hillman, i luoghi hanno un’anima e come dice, il nostro compito è quello di scoprirla e proteggerla. Esattamente come accade per la persona umana. “Un tempo, nell’antichità, le potenze apparivano in luoghi specifici: sotto un albero, presso una sorgente, un pozzo, su una montagna, in un pianoro, all’ingresso della tana di un serpente. Gli uomini circondavano il luogo di pietre: per proteggere la sua interiorità. Nascevano i templi consacrati a queste divinità, ritualizzando il Genius loci si fondavano le città. Oggi invece si cela l’interiorità dei luoghi. Vediamo ciò che appare, le facciate dei palazzi, il manto urbano, i campi pianificati a giardino o monocoltura e dimentichiamo che là sotto c’è una topografia dinamica, interiore, fatta di sentimenti e memorie, figure e forze, fantasie e pensieri. Le culture tradizionali erano animate da un’interpretazione sacrale del territorio. Ogni angolo di terra del Pianeta presenta una propria manifestazione simbolica; ogni luogo, in cui gli uomini abbiano lasciato segni anagogici della loro presenza, ha una propria identità. Rispettare un “territorio”, proteggendolo ecologicamente invece di distruggerlo, significa quindi permettere alla sua energia di vivere, di sopravvivere nel tempo, di giungere sino a noi.
Lo spazio era considerato la modalità principale dell’essere nel mondo e si riteneva impossibile comprendere l’essenza dell’uomo indipendentemente dall’ambiente in cui viveva. Si pensava che l’esercizio del pensiero non fosse indipendente dallo spazio/luogo in cui si abitava e che determinasse gli atteggiamenti stessi dell’essere umano. L’oikos greco, quale senso della dimora della manifestazione dell’essere, poneva il “senso del limite” comunitario del vivere associato, in assoluta simbiosi con le risorse naturali del luogo, sia in merito alla cultura materiale che a quella spirituale e, quindi, culturale. In tale contesto, il concetto stesso di “economico” si poneva in termini di sussistenza della comunità: una lettura involontariamente ecologica delle forme di civiltà. La natura indica perentoriamente, il senso del limite, la sobrietà, la forma.
L’economicismo, la devastazione ambientale, la meschinità dei comportamenti interessati, il gigantismo, l’anonimato delle metropoli e l’insignificanza dei suoi (non) luoghi, sono alcuni dei sintomi della repressione della bellezza effettuata dal pragmatismo: sono un derivato della perdita di quel sentimento di misura e di armonia cosmica, di pudore e di grazia, che rivela l’essenza e accende l’eros, l’amore per l’anima in tutte le sue manifestazioni.”
Ancora Hillman: «Coniugare estetica e politica, o bellezza e città, può sembrare un’idea decisamente azzardata ai giorni nostri, mentre era comune e fondamentale nella vita della Grecia antica». «Una popolazione turbolenta veniva placata dalla bellezza e dalla edificazione della bellezza». Ignorare l’impulso estetico della psiche è la colpa “storica” della società contemporanea. Questa condizione di “ignoranza” del mondo è da addebitare all’economia, alla comunicazione e allo stile di vita in generale. «Se noi cittadini non facciamo caso all’assalto del brutto, restiamo psichicamente ottusi, ma siamo ancora affidabilmente funzionali come lavoratori e come consumatori». La depressione e la rabbia, allora, verranno addebitate – secondo lo studioso – ai rapporti umani del passato, e non invece alla violenza che «l’istinto estetico riceve nel presente».

Se Hilmann ci indica un punto di vista filosofico, psicologico ed esistenziale della necessità di salvaguardare un luogo, Kevin Lynch, urbanista, ci apre ad una lettura delle città dal punto di vista della percezione e dell’immagine ambientale nel suo insieme.
“Guardare le città può dare uno speciale piacere, per quanto banale possa essere quello che si vede. Come un’architettura, una città è una costruzione nello spazio, ma di scala enorme, un artefatto che è possibile percepire soltanto nel corso di lunghi periodi di tempo. Il disegno urbano è quindi un arte temporale, ma raramente essa può servirsi delle limitate e controllate sequenze che sono proprie di altre arti temporali, come la musica.
In occasioni diverse e per diverse persone, le sue sequenze vengono invertite, interrotte, abbandonate o intersecate. esso viene visto sotto luci e condizioni atmosferiche di ogni tipo. Ad ogni istante, vi è più di quanto l’occhio possa vedere, più di quanto l’orecchio possa sentire e qualche area o qualche veduta rimangono inesplorate. Niente è sperimentato singolarmente, ma sempre in relazione alle sue adiacenze, alle sequenze di eventi che portano ad esso, alla memoria delle precedenti esperienze. Spesso la nostra percezione della città non è distinta, ma piuttosto parziale, frammentaria, mista ad altre sensazioni. Ogni nostro senso è in gioco e l’immagine è l’aggregazione di tutti gli stimoli. La città non è soltanto oggetto di percezione (e forse di godimento) per milioni di persone profondamente diverse per carattere e categoria sociale, ma è anche il prodotto di innumerevoli operatori che per motivi specifici ne mutano costantemente la struttura. Benché nei grandi lineamenti essa possa mantenersi stabile per qualche tempo, nei dettagli essa cambia senza posa. I controlli possono essere solo parziali, non vi è alcun risultato finale, solo una successione continua di fasi. In generale un ambiente urbano piacevole e bello è un eccezione, qualcuno potrebbe dire una impossibilità.” In realtà lo sforzo maggiore non è nemmeno quello di dare un carattere coerentemente estetico, in molto casi molte città presentano parte piacevoli e vivibili, ma è quello di far comprendere alla maggioranza delle persone cosa vuol dire vivere in un ambiente vivibile e bello. “Essi sanno tutto della bruttura dell’ambiente in cui vivono, parlano di sporcizia, della congestione, del caos e della monotonia. Ma sono scarsamente consapevoli dei pregi eventuali di un ambiente armonioso e di ciò che un ambiente può significare, come fonte quotidiana di godimento, come costante ancoraggio per la vita.”

Dipinti di Mario Sironi