Nel giugno 2019 terminava il restauro della colonna di Indicatore, monumento posto a ridosso della ferrovia, sulla strada provinciale n. 21, a un passo dall’ex passaggio a livello sulla via Fiorentina.
La colonna di Indicatore non è un oggetto isolato, in Toscana ne sono altre 18, residue di un capillare sistema di orientamento voluto dal Corpo di Acque e Strade del Granducato che le progetta negli anni ’30 – ’40 del XIX secolo per essere collocate alle intersezioni tra le strade pubbliche. Questi piedistalli, realizzati in pietra locale ed elementi di ghisa forniti dalle fonderie statali di Follonica, recavano sulla sommità targhe con l’indicazione della direzione.
In provincia di Arezzo vi sono anche indicatori a Montalto, Olmo, Camucia, altri non lontano e con l’indicazione per Arezzo, a Pontassieve, Arbia, Castelnuovo Berardenga in località Grillo. In Toscana altre località prendono nome dalla presenza del piedistallo: Indicatore a Capalle, Colonna a Pieve a Nievole, Colonna del Grillo, Capostrada a Pistoia.
Talvolta la targa era infissa direttamente alla parete esterna di un edificio che si trovasse in prossimità del bivio, nel territorio di Arezzo alcune a Camucia e a Ville di Monterchi, probabilmente molte sono ancore da individuare.
In occasione del restauro è stata svolta un’approfondita ricerca presso archivi storici e sul web risultata prodiga di notizie e informazioni: è stata trovata la deliberazione alla collocazione dei piedistalli aretini con tanto di “capitolato” sulla loro realizzazione, costi e disegno originale; la ricerca sulla cartografia storica ha consentito di ripercorrere l’evoluzione viaria intorno alla località; le immagini d’epoca hanno permesso di apprezzare i cambiamenti sul modo di viaggiare.
Il testo è suddiviso nei seguenti capitoli: Il sistema della viabilità nel Granducato di Toscana; Gli indicatori stradali; Il restauro della colonna di Indicatore.
Una ricca bibliografia consente di approfondire l’argomento.
Tra il 2011 e il 2017 un programma del governo italiano ha supportato iniziative delle municipalità palestinesi tra gli altri nel settore del restauro e valorizzazione del patrimonio culturale.
SEUM ha avuto il privilegio di partecipare a due importanti iniziative: a Tulkarem, nel nord e a Hebron nel sud della Cisgiordania, due importanti edifici sono stati studiati, restaurati e adattati a nuove funzioni compatibili, coinvolgendo professionalità locali in attività di scambio e Capacity building.
Il palazzo Al Saraya di Tulkarem, già sede del governo Ottomano nella regione, costruito nel 1893 ha subito le vicende della storia e le ingiurie del tempo. Oggi, rispettato e recuperato attraverso un cantiere scuola, ospita una foresteria e un ristorante tradizionale, botteghe per la commercializzazione di prodotti tipici, un centro convegni ed esposizioni temporanee.
L’Hammam Al Hibrahimi, posto nel cuore della città vecchia di Hebron, dal 2017 patrimonio dell’Umanità UNESCO, è stato oggetto di un attento recupero e oggi è visitabile nella sua conformazione originale.
Risalente a epoca mamelucca tra XIII e XIV sec., l’Hammam è parte integrante del Visitor center che ospita al suo ingresso un Mini museo che raccoglie reperti archeologici che datano dal 1° millennio a.C. all’epoca romana a qualla crociata fino a oggetti tradizionali più recenti. In questo libro, pubblicato sia in inglese sia in italiano, i momenti delle due esperienze raccontandone l’evoluzione, analizzando gli edifici e dispiegando le modalità esecutive sia sotto l’aspetto tecnico che quello organizzativo. E altro ancora. Il testo e le numerose immagini vogliono non solo rappresentare un manuale tecnico sul restauro dei monumenti oltre a un compendio sulla storia locale ma essere anche testimonianza e memoria di una straordinaria avventura vissuta tra i rappresentanti italiani e i tecnici e i professionisti locali.
Nel costruire l’uomo ha sempre manifestato il legame col territorio e la volontà di radicamento della sua stirpe. Tutto questo è all’origine del valore simbolico che ogni centro storico continua ad esercitare sulla popolazione che in esso ritrova tradizioni e miti della propria progenie. Il luogo detta le condizioni di forma, colore, proporzioni e funzioni del costruito; le materie del territorio, la cultura, gli strumenti plasmano gli edifici e influenzano l’urbanistica. Lo studio dei costituenti risulta fondamentale ed è necessario un reverse engeneering per definire modalità costruttive, risalire alle cave di estrazione, riscoprire tecniche tradizionali, strumenti, metodologie, conoscere le normative dell’epoca e soprattutto comprendere finalità e ambizioni. L’insieme di tutto questo costituisce il modus costruendi e l’adesione dell’edificato alle genti che lo vivono rappresenta il genius loci dove risiede la tipicità e ricchezza che ciascun nucleo urbano esercita su chi vi vive e viene percepito subliminalmente da chi lo visita, in adesione al concetto di concinnitas descritto da Leon Battista Alberti. Il color loci rappresenta il primo impatto con il fruitore che, ancor prima di percepire forme e volumi, ha dall’insieme la sensazione che gli trasmette la tonalità e la luce e sarà da questo impatto più o meno favorevolmente predisposto a recepire aspetti formali e dettagli.
I colori dichiarano l’animo delle persone che vivono quel luogo, le aspettative, le speranze e infine le potenzialità merceologiche e tecnologiche dell’epoca. La pubblicazione, oltre che accennare alla teoria, fisiologia e psicologia del colore, affronta i fenomeni della percezione, analizza i termini e i sistemi di notazione del colore nella storia e ripercorre l’aspetto identitario legato all’aspetto cromatico di Arezzo. Le immagini entrano prepotentemente dentro il colore della città, ne esaltano la cromia estraendolo dal contesto, evidenziano assonanze e contrasti, la luce è sfruttata per definire dominanti e complementarità, il momento è amplificato e immerge l’osservatore nell’emozione suscitata dall’eccitazione che attraverso l’occhio giunge al cervello e regala una sensazione unica. Un prezioso documento che immortala e documenta l’aspetto cromatico di una città toscana e stimola un consapevole e corretto approccio per mantenerne identità e genio.
De signs, il titolo di questa pubblicazione rievoca l’argomentativo latino dē signo, cioè che tratta del segno, in inglese il termine traduce progetto ma anche disegno e disegno è la disciplina nella quale nel Rinascimento si comprendevano le arti della pittura, scultura e architettura, e segno e disegno, pittura, scultura e architettura qui si compendiano per tentare di definire il paesaggio urbano di una città toscana.
Una visione impressionista della città che lascia sullo sfondo i grandi monumenti, torri, palazzi, chiese e le opere universali e sfrutta questo contrappunto per esaltare la moltitudine di segni, elementi, assonanze e dissonanze che concorrono a definire il percetto. Fontane panchine balconi, campanelli maniglie portoni, sculture bassorilievi decorazioni, ringhiere emblemi tombini, tutto è raccontato con rigore e rispetto. Architetture e interferenze, luce e ombra, ordine e disordine, dialogano con un linguaggio che esprime unicità e intima bellezza.
Alfabeti ricavati da rare persistenze su insegne e targhe, trasformati in caratteri utilizzabili liberamente, contribuiscono a mantenere e trasmettere identità e genio. vera imago urbis.
L’immagine di una città è il risultato dell’insieme spontaneo od organizzato di edifici e strade, vuoti e pieni, compendi sia funzionali sia di abbellimento. La percezione che se ne riceve è soggettiva, condizionata dal momento e dallo stato d’animo, la sua comunicazione dipende dalla finalità e spesso è parziale o arbitraria.
Questa pubblicazione, circoscritta al solo ambito urbano, lontana dall’essere esaustiva e che anzi auspica la continuazione e diffusione del concetto, rappresenta un atto d’amore che ogni luogo merita e speriamo di essere riusciti a trasmettere affetto ed entusiasmo per stimolare curiosità e meraviglia, analisi e critica, necessari e non sufficienti per comprendere e apprezzare i posti che ci accolgono.
Un corso di formazione professionale deve rappresentare, per chi lo frequenta, un momento di crescita che conduca, alla fine del percorso, a una conoscenza e a una capacità che metta in condizione l’allievo di affrontare con sicurezza il mondo del lavoro che ha scelto. Per arrivare ad affrontare il restauro di un paramento murario o di una decorazione pittorica è fondamentale conoscere come quell’opera è stata realizzata: strumenti, tecniche e materiali di lavorazione della pietra, tinteggi, patinature, decorazione e affresco. Gli stage all’estero sono il momento più emozionante per gli allievi. Il livello dai partner francesi e spagnoli si è rilevata elevatissima e adeguata, il fascino di operare all’interno di prestigiose istituzioni, a Parigi come a Barcellona, è stato coinvolgente e lo scambio con professionisti di altri paesi stimolante e indispensabile per creare un operatore con una visione europea.
La parte più importante è stata quella relativa alla pratica di restauro. Condotta su vere opere e nelle reali condizioni, con gli allievi organizzati in gruppi, ciascuno con il proprio caposquadra, per imparare a organizzare in piena autonomia tutte le fasi del lavoro. Dieci cantieri per quattordici tipologie di intervento. Importanti le opere trattate, alcune di grande pregio, altre più modeste, con alcune scoperte emerse proprio grazie al restauro e all’attento lavoro di ricerca svolto dagli allievi. Non è possibile raccogliere in questa pubblicazione tutta la documentazione che è stata prodotta ma questa resta agli atti a testimoniare dell’importante lavoro che è stato svolto. Ci piace pensare che questa esperienza abbia stimolato la voglia di conoscere, di confrontarsi, di migliorarsi e possa condurre a una crescita professionale ed umana degli allievi, così come è avvenuta per noi formatori.